Swimrun, uno sport per veri duri!

Michael Phelps

Si nuota con le scarpe e si corre con la muta, senza soluzione di continuità. Ecco l’essenza dello Swimrun, una disciplina dura, nata nelle fredde acque del nord Europa che sta trovando sempre più appassionati (forse un po’ matti?!) anche qui da noi.

Mercoledì 27 aprile ho avuto la possibilità di seguire dal vivo il Swimruncheers media test, anteprima della gara vera e propria che si terrà il 27 agosto sul Lago Maggiore e in occasione della quale seguirò un gruppo di atleti volontari in un percorso di mental training, con l’obiettivo di mettere in luce l’importanza di questa parte dell’allenamento in gare endurance.

Il bellissimo scenario del campo gara, tra lago, montagne, boschi e piccoli borghi ha alleviato solo in parte la fatica che ha accompagnato il gruppo di testatori del percorso. Sì perché lo Swimrun non è solo uno sport endurance ma è anche una vera e propria esperienza che porta l’atleta a una profonda conoscenza di sé. L’articolazione del percorso (17 frazioni alternate, per un totale di 39km di cui 28km di corsa e 11km a nuoto), il tempo che è necessario rimanere “dentro” alla gara e le continue transizioni da una disciplina all’altra espongono l’atleta a una sequenza costante di sfide. Sfide che non sono solo di tenuta fisica ma anche di tipo mentale.

La tentazione di mollare nel corso dei 39km, prima o poi emerge in ogni atleta. E lì scatta la necessità di prendere una decisione. Decidere se rinunciare o tenere duro, scegliendo di rimanere nella fatica. Nello Swimrun il finisher è colui che è disposto più di altri a faticare e soffrire, è colui che non sfugge al sacrificio di rimanere in gara per ore e ore in condizioni ambientali sempre diverse, dove sembra impossibile trovare degli elementi di costanza in grado di garantire sicurezza e continuità all’azione. E’ colui che è in grado di modificare la propria percezione dello sforzo, di gestirlo e di conviverci nel tempo della gara.

Lo Swimrun impone all’atleta di rimanere per moltissimo tempo solo con se stesso e questo lo porta a scontrarsi con le proprie debolezze. Ma non è tutto. Nello Swimrun l’atleta arriva anche a scoprire un insieme di risorse che forse nemmeno pensava di avere. Comprende che quella vocina che risuona nella sua testa (“non ce la farai”) è una forma di autoinganno per evitare la sofferenza fisica, per non superare i limiti che tutti naturalmente tendiamo a imporci in un’ottica conservativa ma che non necessariamente coincidono con quanto potremmo ancora dare.

Questa disciplina appassiona perché tutto quello che ti toglie alla fine te lo restituisce all’ennesima potenza. Richiede la passione di un costante allenamento ma regala il piacere di gareggiare a contatto con una natura sempre diversa, richiede di faticare ma ti ricompensa con l’immensa soddisfazione di avercela fatta o quanto meno di averci provato!

@valentinapenati

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