Profondità VS Traversi. Qual è la retta via?

Traversi VS profondità

Come ogni anno, dopo aver rivisto gli atleti in azione dopo cinque mesi di preparazione, è sorta la solita questione che ci tormenta ormai da lungo tempo: in gigante, bisogna sciare profondi e da dietro, oppure bisogna “segare” e buttare i piedi prima del palo? Ormai è noto a tutti che tra queste due interpretazioni non ce n’è una prevalente, vuoi un po’ perché Soelden è una gara a parte, o vuoi perché un anno vince un Hirscher con traversi e linee strettissime e l’anno dopo vince un Ligety con un’interpretazione completamente diversa sciando con due metri di linea in più ogni porta. Sappiamo tutti quanti che un mix tra le due tecniche, ovvero una linea strettissima sempre in conduzione sarebbe la strategia vincente in qualsiasi caso, ma ahinoi questa cosa anche per i big è ancora utopia.

Quest’anno abbiamo visto prevalere la strategia di Ligety, che per l’ennesima volta ci ha mostrato come sia in grado di portare e condurre il 195 in maniera divina anche su un terreno ripido e ghiacciato come il Rettenbach, anche se, bisogna dirlo, a volte si trova pure lui si trova a dovere buttare i piedi dopo 5 o 6 curve perfette, per correggere la linea o per controllare l’eccessiva velocità creata in precedenza. A farne le spese, come già detto parecchie volte, è stata in questo caso l’irruenza del culturista di Annaberg, che non è riuscito a esprimere tutta la sua potenza “casando” eccessivamente e trovandosi a volte a dover correggere la traiettoria troppo stretta sotto il palo.

Fatta la distinzione fra i due estremi, mi trovo nella posizione di dire la mia: lasciati stare i due fenomeni che sicuramente si contenderanno la coppetta di cristallo anche quest’anno, voglio analizzare altri due atleti, che mi hanno impressionato sulla parte più pendente del Rettenbach, non solo per gli ottimi tempi ma soprattutto per l’interpretazione che hanno avuto. Parlo ovviamente di Thomas Fanara e Roberto Nani, che nel mio modesto parere si sono avvicinati di più alla sciata “utopica” descritta prima dei due atleti analizzati in precedenza: infatti pur seguendo linee abbastanza strette il francesino e il livignasco sono riusciti a condurre lo sci in maniera ottimale in gran parte delle curve del muro di Soelden, grazie soprattutto alle forti inclinazioni dei loro arti inferiori e ai carichi notevoli che sono riusciti ad imprimere agli attrezzi nella prima parte di curva. Quel che non permette loro ancora di primeggiare è la troppa discontinuità e l’eccessiva fatica fatta nei tratti più pianeggianti; vedremo nei prossimi giganti se saranno in grado di colmare queste lacune, e soprattutto quale interpretazione tra le due prevarrà.

@mich_garbin

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