Non tutti gli atleti sentono il peso delle pressioni esterne. Alcuni vivono le aspettative esterne come fardelli pesantissimi da sopportare e fanno ruotare tutta la propria vita da atleta attorno ad esse, mentre altri riescono a rimanerne distaccati, probabilmente perché si percepiscono gli unici giudici di se stessi.
Fatto sta che le pressioni esterne possono giocare scherzi terribili agli atleti. Non è raro che un atleta che percepisce pressioni esterne possa approcciarsi alla gara in punta di piedi, trattenuto. Sono queste le condizioni in cui più spesso si sbaglia. Nella paura di non corrispondere alle aspettative, i movimenti sono ingessati, ci si trattiene per evitare di commettere errori e non si libera tutto il proprio potenziale. Sono proprio queste le condizioni che gettano le basi per l’errore. Fin qui tutto chiaro. Ma è quel che succede dopo che si fa interessante. 

Una volta che l’errore è commesso e ci si convince che ormai la gara è andata, ecco che l’atleta libera la mente. Ormai la prestazione è compromessa. Si sa che le aspettative non riusciranno più ad essere soddisfatte. La tensione si allenta e i movimenti si fanno più sciolti. E come per magia la prestazione migliora. Un osservatore esterno può vedere a occhio nudo che l’atleta ha cambiato registro.
Posto che è impossibile eliminare le pressioni e le aspettative esterne, è fondamentale che l’atleta cambi prospettiva.
E’ necessario che l’atleta comprenda che nel momento della competizione non è importante l’obiettivo, quanto il processo. Ad esempio, una giovane ginnasta che seguo ha come principale obiettivo quello di rimanere nell’Accademia di ginnastica artistica, permanenza che è vincolata all’ottenimento di una serie di risultati in gara. 

L’obiettivo rapidamente si trasforma in pressione e nel momento della competizione bussa alla sua mente, distogliendola dal processo e portandola a pensare a come un errore potrebbe determinare la sua esclusione dall’accademia. Ma nel momento della gara questi sono pensieri così necessari? Assolutamente no! Paradossalmente, in gara pensare all’obiettivo e a quanto un errore ne comprometterebbe il raggiungimento, distoglie dall’unica cosa veramente importante per perseguire l’obiettivo stesso: fare ciò che ci si è allenati a fare. 

Nel caso della ginnasta, a eseguire l’esercizio provato mille volte in palestra e che in allenamento ha imparato a svolgere senza alcuna sbavatura. Ecco che gli errori in gara, spesso inaspettati e inspiegabili, sono il frutto di un pensiero che non è più focalizzato sul processo, ma che è shiftato sull’obiettivo finale, su ciò che implicherebbe sbagliare e sulle conseguenze che si dovranno subire. Di fatto su quello che sarà o che potrebbe essere, piuttosto che su ciò che è.

2 Responses

  1. Federica Brignone says:

    È così… quanto sarebbe bello a volte riuscire a concentrarsi solo ed esclusivamente sul da farsi e non sulla paura di fallire!!

    1. adminsolowattaggio says:

      Grande Fede! Avanti così!

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