Quando non vinci più. Psicologia sportiva

Perdere non piace a nessuno. Perdere è difficile soprattutto dopo una lunga striscia di successi. La sconfitta non è mai un’esperienza piacevole, a nessun livello. Ma in questo contesto vorrei soffermarmi su quegli atleti per cui vincere è scontato ma che ad un certo punto inciampano e improvvisamente smettono di vincere.

Posto che è impossibile che abbiano disimparato o che si siano dimenticati come si mette in scena la propria miglior prestazione, allora viene da chiedersi cos’è che scatta nella mente di un’atleta che dopo una battuta d’arresto gli impedisce di tornare a competere per dei risultati di prestigio. In ogni sport ci sarà capitato di vedere un atleta che vince e vince e vince ancora, poi, ad un certo punto, per l’errore o la sfortuna di un giorno qualcosa inizia ad andare storto. L’atleta va in confusione e non riesce più a capire come riprendere le fila del discorso.

Ciò che subentra nella mente dell’atleta sono i dubbi sulle proprie capacità, il pensiero fisso della giornata storta da cui è partito (“E se ricapita?”) tutto e più questi pensieri si fanno strada meno l’atleta riuscirà a divertirsi. L’atleta incomincia a pretendere da se stesso delle risposte, in gara mette in atto azioni nuove e non consolidate, si approccia alla competizione con sempre maggiore ansia perché nella gara andrà a cercare il responso sul proprio valore e avrà risposta a quella maledetta domanda che gli rimbalza di continuo in testa: “Sono ancora capace? Tornerò mai quello di prima?”.

In questo stato di attivazione, come potrà mai l’atleta affrontare la gara con la serenità adeguata per poter performare al meglio? Semplicemente non è possibile. Viceversa, si andrà ad alimentare un circolo vizioso sempre più negativo attraverso cui l’atleta, seppur alla ricerca di una risposta positiva in gara, si avvicinerà ad essa con una condizione emotiva (ansia, paura, rabbia) che non farà altro che farlo “saltare”. L’esito negativo, a sua volta, andrà ad alimentare dubbi, paure e incertezze. E così via. Un incubo insomma. Ma cos’è cambiato tra prima (quando tutto veniva facile) e dopo (quando i conti non tornano più).

Sicuramente un elemento centrale che si modifica è il dialogo interiore. Sì perché ogni cosa che noi facciamo tendiamo ad accompagnarla con delle frasi che diciamo a noi stessi in silenzio. Probabilmente quando l’atleta infila una buona prestazione dopo l’altra, accompagna la propria prestazione con incitazioni, con frasi positive del tipo “Andiamo a divertirci”, “Dai che sei forte”, “Ce la farai”. Viceversa quando le cose iniziano ad andare storte sarà molto probabile che nella mente dell’atleta risuonino frasi del tipo “Non sbagliare ancora”, “Stai attento”, “Non puoi buttare anche questa occasione”. Frasi che inibiscono, insomma. Parole che taglierebbero le gambe anche all’atleta più determinato e che di certo non mettono dell’umore giusto.

Togliersi dalla testa i dubbi e le incertezze, ovviamente, è impossibile. L’unica cosa su cui si può lavorare è proprio il dialogo interiore. Anche se non è un lavoro facile, in questi casi diventa necessario che l’atleta rifletta a fondo sul proprio dialogo interiore, lo smantelli e rimpiazzi tutte le frasi auto-sabotanti che si rivolge, con parole in grado di sostenerlo e incoraggiarlo, in modo da rimettersi nel “mood” più a adeguato per ritornare ad affrontare con convinzione le competizioni. E, se possibile, disconfermare quei pensieri negativi sul proprio valore che si sono insinuati in lui.

@valentinapenati

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