L’ignoranza nello sport è un aspetto di cui non si parla molto, credo non sia mai stato studiato e spesso ci si fa riferimento in termini comici, con l’immagine di un atleta che si butta come un pazzo in un’esecuzione motoria senza minimamente sapere da che parte cominciare e tantomeno concludere. Con ignoranza nello sport indichiamo piuttosto quelle situazioni in cui un atleta non particolarmente evoluto sul piano tecnico si butta senza pensare. La butta, appunto, sull’ignoranza. Prima ancora che un comportamento, ossia quello di buttarsi in un gesto atletico-motorio, l’ignoranza è un atteggiamento mentale.
Dopo essermi forzato e sforzato di essere tecnicamente perfetto, di cercare una pulizia nel movimento senza per questo raggiungere risultati brillanti, in alcuni casi buttarla sull’ignoranza può rappresentare un elemento sbloccante.
A volte l’ignoranza può essere addirittura un atto liberatorio. Sì perché quando la si butta sull’ignoranza, in qualche modo ci si libera dalla gabbia di pensieri troppo articolati e difficili da sostenere durante una performance (specialmente in gara). Quando si pensa troppo, quando si è troppo attenti a cercare la perfezione tecnica non ancora interiorizzata ecco che ci si focalizza unicamente sulla teoria, si lavora eccessivamente di testa e si smette di sentire le sensazioni che il nostro corpo in movimento ci invia.
Adottare un approccio ignorante significa dimenticare per un attimo “la teoria”, quello che sarebbe giusto, corretto e tecnicamente ineccepibile in quella data situazione. La ricerca della tecnica perfetta o dell’esecuzione ottimale spinge la mente in un luogo altro, molto distante dal qui ed ora, in un luogo che probabilmente nemmeno esiste. Stare nel momento presente, consente invece di rimanere connessi con il proprio corpo, di liberare il movimento e liberare se stessi dal vincolo di uno schema e di una perfezione che non è propria e che forse mai si raggiungerà.
Da un’esperienza ignorante si può imparare molto. E quanto appreso, se adeguatamente capitalizzato, può andare a colmare eventuali lacune e debolezze tecniche, addirittura a farne comprendere le ragioni. Certo, sull’ignoranza non si può fondare una carriera sportiva perché si lega a concetti come la fortuna e la sfortuna, al “come va, va”, al rischiare. Non pensare, a lungo andare, può rappresentare un rischio e fa perdere di vista la strategia di gara, così come l’acquisizione di nuove competenze in fase di allenamento.
Ma in alcuni momenti, concedersi un po’ di ignoranza, darsi la possibilità di esprimersi spontaneamente e di sentirsi dentro al movimento favorisce una presa di contatto con se stessi, di vedere fin dove ci si può spingere a prescindere dalla bontà tecnica.
Ecco quindi perché faccio riferimento all’ignoranza in termini di atteggiamento mentale. Non c’è follia, non c’è incoscienza né inconsapevolezza. Si tratta di una scelta legata a un approccio che ciascun atleta, in determinati contesti, può scegliere di adoperare. Paradossalmente, dietro all’ignoranza sportiva ci sta sempre un pensiero.