A più di un mese dalla sua scomparsa, è arrivato anche per me il momento di elogiare e salutare quello che è stato uno degli alpinisti più forti e completi, se non il più forte e completo degli ultimi 10 anni: Ueli Steck.
Soprannominato “The Swiss Machine“, è deceduto nel tentativo dell’ennesima impresa incredibile della sua carriera: il concatenamento in solitaria delle vette del Lhotse (8511m quarta vetta più alta del pianeta ndr) e dell’Everest (8850m), scivolando durante una delle sue ascese di acclimatamento sul Nupste, monte di più di 7000 metri di quota che completa la catena della montagna più alta del pianeta.
Una perdita che ha colpito fortemente tutto il mondo dell’alpinismo e dell’arrampicata in generale, che ha coinvolto un atleta incredibile amato e benvoluto da tutti per la sua umiltà e la sua onestà, qualità che ormai è molto difficile trovare in degli sport che non fanno della competizione nuda e cruda una loro imprescindibile caratteristica.
Mondo dell’arrampicata in generale sì, perchè Ueli non era solo un alpinista da vetta Himalayane, bensì un’atleta completo capace di cose incredibili in tutte le varie discipline di questo sport: dall’arrampicata sportiva, al free solo fino ad arrivare all’ascesa delle grandi pareti alpine in solitaria nel minor tempo possibile. Quest’ultima è la disciplina che ha dato vita alle sue più grandi imprese, come la salita della Nord del Cervino in meno di due ore, e quella della nord dell’Eiger in 2 ore e 20 minuti, la parete più letale di tutto l’arco alpino.
Salite di estrema difficoltà e pericolosità che sono finite per costargli la vita, una vita vissuta sempre sulle punte dei ramponi e sui secondi di un cronometro, dove basta un piede appoggiato male o un appiglio mancato per metterci la parola fine.
Ciao Ueli, ci mancherai.