Il ciclismo negli ultimi anni ha avuto un incremento degli utenti che è andato quasi fuori controllo, il Covid poi ha accelerato questo sviluppo in modo drastico e i praticanti sono aumentati in ogni angolo del mondo. Se dal lato agonistico tutto ciò ha comportato un innalzamento del livello medio, sotto quello televisivo c’è stata un’impennata del grande pubblico davanti alla TV. Corse trasmesse dal Km zero per più di sei ore, stagioni sempre più lunghe al punto che la pausa invernale non esista più, il Tour de France che ogni mese di luglio diventa per tre settimane l’evento più seguito al mondo con 3,5 miliardi di telespettatori. L’UCI con la creazione del World Tour ha creato una specie di lega in grado di valorizzare il grande ciclismo, aspetto che chiaramente viene mal digerito dalle squadre più piccole, stritolate dai grandi giganti del ciclismo, l’intento è stato comunque quello di inalzare la qualità di questo sport nonostante comporti dei lati negativi della medaglia. Pedalare poi, come diciamo allo Swatt Club è “porno”; l’emulazione dei propri idoli sulla strada è qualcosa che avvicina più di qualunque altro sport il Campione allo spettatore.
Ma se il ciclismo gode di tutta questa salute, perché in Italia non ci sono più squadre World Tour? Ci sono molti motivi, non abbiamo certamente i vantaggi fiscali olandesi o la liquidità dei colossi petroliferi, ma la causa più importante è questa: spesso le squadre in Italia negli ultimi quarant’anni hanno vissuto grazie alle classiche operazioni fraudolente fatte di fatturazioni gonfiate e successivi prelievi. Fare una squadra partendo dall’elusione fiscale, partire dal punto finale, la sponsorizzazione che deve dare il nome alla squadra stessa, non dalla base: l’anima e il progetto della squadra. Il Calcio su questo tema non ha rivali, ogni piazza ha una propria anima, una propria natura e lo sponsor ne è a conoscenza. Non a caso le squadre più longeve del ciclismo come la Quick Step hanno sempre fatto della squadra intesa come gruppo la propria bandiera. In Belgio questa famiglia viene tifata al pari di una squadra di calcio, come la Visma in Olanda e nel nord Europa, non si tifa il corridore singolo. Quest’ultima si estende poi alla pista e agli sport del ghiaccio, un team che va oltre al ciclismo.
Se guardiamo al fatturato delle prime dieci aziende in Italia, la cifra che queste dovrebbero destinare alla formazione di una squadra ciclistica è quasi ridicola. Ma quale imprenditore darebbe i propri soldi ad una figura che si presenta ai suoi occhi chiedendogli i fondi per mandare in fuga un corridore al Giro d’Italia o vincere una corsa? É troppo poco, poteva funzionare fino a vent’anni fa ma ora non basta più concepire un team alla corsa di sei ore della domenica. Per stare nel World Tour servono molti soldi, farlo sperando che quella formazione sia veramente vincente è troppo pericoloso. Lo sponsor esige comunicazione, essere parte di qualcosa, progetti che vadano al di fuori delle corse fini a sé stesse, sposare una filosofia, la EF di Vaughters insegna. Sono i progetti seri a mancare, non le grandi aziende in grado di supportarli. Spesso a provare a fare una squadra sono poi ex corridori invischiati in casi doping del passato, o che comunque hanno fatto parte di quel sistema. Si arrogano il fatto di conoscere il ciclismo, come se nel 2025 sia la parte ciclistica più intima il fulcro di un progetto. Team come Visma e Ineos sono gestite da grandi manager come Plugge e Braidlsford, in Italia invece si vuole superare il ruolo manageriale in nome del passato da corridori e conoscitori delle SFR e del dietro motore. Per assurdo, in questo momento nel nostro panorama nazionale sono più interessanti le realtà amatoriali che i team Professional di cui non si sa praticamente nulla se tralasciamo la diretta della corsa quando quest’ultima riceve l’invito.

Nel frattempo, lo Swatt Club sta continuando il suo viaggio verso il sogno proibito chiamato World Tour, sempre sostenuto da chi ha creduto in noi come Giant, Cadex, Pirelli, Maurten, Shimano e Lazer, partner che credendo nella nostra idea d’agonismo ci hanno permesso di lasciare i nostri body, la nostra bandiera, con i nostri colori. Lo sapete cosa ci gasa di più? Quando i soci e amatori dello Swatt Club parlano al plurale con frasi del tipo ” i nostri stanno planando, i nostri a Rodi hanno planato in testa a quelli delle Devo“. Vederli prendere ferie per andare alle corse, venire agli Swatt Corner, partecipare in massa ai nostri eventi, vestire Swatt Club per supportare un sogno che va oltre alla Granfondo della domenica. Riscoprire il piacere di attaccarsi il numero addosso dopo che il sistema aveva fatto perdere loro l’amore delle due ruote. Sono questi gesti il fuoco della passione che ci fa andare avanti.