Si dice che la Roubaix sia come un inferno, l’Enfer du Nord. Eppure per le migliaia di tifosi, che ogni anno si riversano sui tratti in pavé, tutto ciò è un paradiso, è un giornata di festa. Quest’anno siamo tornati anche noi sulle strade della Roubaix: il ritiro di Tom Boonen e la mancanza della polvere ci hanno spinti a prendere l’aereo e salire al Nord, dove il ciclismo è una ragione di vita. E dunque vogliamo raccontarvi la nostra due giorni passo per passo, perché vogliamo ispirarvi, vogliamo farvi vivere quello che abbiamo provato. Un giorno dovrete salire anche voi, perché è un evento che va visto almeno una volta nella vita. Prendete i vostri figli, la vostra fidanzata, vostro padre o i vostri nonni e andate a vedere la Paris-Roubaix, perché è un evento che vi cambierà radicalmente la concezione di sport. E’ un evento che vale più di 300 chilometri di allenamento perché non allena il fisico, ma qualcosa di più importante: la passione. Ecco “L’Inferno raccontato dal paradiso”.
Sabato – L’arrivo in territorio francese è fissato a Parigi per il pranzo e dopo una perlustrazione da turisti provinciali e mainstream fra Arc du Trionphe e Louvre ci addormentiamo sotto la Torre Eiffel, godendoci un clima estivo clamoroso. Poi è tempo di salire a Montmartre, dove è stata organizzata la cena per celebrare il viaggio. Oltre a noi, Bauer e Berry, i compagni di viaggio sono Pez, giornalista di Raceskimagazine, e Nick Tonet, soprannominato poi Tonneke per le gesta compiute nel giorno della corsa. Tonneke e Bauer però arrivano al tramonto, dopo essersi dilungati in photoshooting Swatt Club sui Campi Elisi e ad un fuori percorso non programmato: un clandestino entrato sui binari della metropolitana nei pressi di Gare du Nord. Dopo alcuni calici di Bordeaux e del cibo non troppo invitante, il tutto condito con i classici discorsi da bar, ci dirigiamo verso l’aeroporto di Charles de Gaulle, dove ci aspetta una notte insonne nelle camere dell’albergo Nomad pensando all’Enfer du Nord.
Domenica – La domenica inizia nel migliore dei modi, con una doccia a sei getti Hansgrohe. La squadra di Sagan è ormai penetrata nelle nostre menti al punto di voler spaccare tutti i rubinetti ogni volta che vediamo questa scritta. Dopo una colazione durata 45 minuti a base di pain au chocolate e spremute dense come il sangue dei corridori degli anni ’80, alle ore 8 partiamo dall’albergo Nomad di Charles de Gaulle per assistere alla partenza da Compiegne. Lo start è il momento massimo di bikeporn, ma è anche il momento dello stress e della concentrazione. Appena arrivati nella piazza, da veri italiani e senza nemmeno rendercene conto riusciamo ad entrare nella zona limitata ai Vip e ai pass di servizio. Ci siamo, i corridori stanno arrivando.E poi è tempo di corsa. Il nostro piano, studiato minuziosamente in tarda notte, come prima tappa prevedeva il primo tratto in pavè, a Troisville. E dunque partiamo da Compiegne a tutta, fondendo il motore della nostra Opel noleggiata in aeroporto e mentre parliamo della tensione che emanavano i corridori allo start, i campi gialli di colza sono nostri compagni di viaggio. Anche fra di noi sale un po’ di preoccupazione: la tabella di marcia è stata studiata al minuto, non si può sbagliare strada, non ci si può perdere, non ci si può fermare per una pausa caffè. E’ iniziato l’Enfer du Nord. Arrivati all’imbocco del primo settore si respira la classica aria che contraddistingue i giorni di gloria: tanta, tantissima gente si è riversata fin dal mattino sulle strade della Roubaix. Tanti pensionati, tanti giovani e tante famiglie con i loro figli. E’ una festa per tutti.
Manca poco al passaggio della corsa. Il pubblico scalpita, iniziano i cori. I corridori sono a pochi metri dall’ingresso del primo settore, il primo passo che porta all’Inferno. La Foresta di Arenberg chiama e Tommeke non può far altro che reagire, mandando così davanti i suoi uomini. La massiccia presenza dei Wolf Pack rende la giornata ancor più speciale. Due anni fa eravamo presenti per la prima volta, l’ultima di Wiggins. Sembra passato un secolo. Guidammo da Milano fino a Roubaix in Multivan, senza soste, in una giornata in cui i litri di Red Bull bevuta superarono quelli del sangue in corpo. Questo addio di Tom tuttavia si è rivelato diverso in tutto; è stato un ultimo atto vissuto con il suo popolo, con chi lo ha amato, non la trovata commerciale di Rapha. Arriviamo alla foresta con circa 30 minuti di anticipo e siamo costretti a parcheggiare l’auto a due chilometri di distanza. È l’inferno, o forse il paradiso. Arriviamo all’uscita ed il profumo di carne fiamminga risveglia il nostro appetito, mentre la birra va giù senza scrupoli: sarà la latitudine. I fiamminghi con i loro prezzi popolari stanno regalando panini a 2 Euro e birre e bibite a 1 Euro; la passione prima del profitto. Intanto il nostro Tonneke, uno che fino ad ora aveva assistito solamente al Giro d’Italia, inizia a diventare grande vivendo profondamente questo evento. Prima di oggi non sapeva nemmeno cosa fosse la Roubaix, non conosceva né il fascino né il prestigio di questa corsa; era il classico ciclista che pedala solamente in salita, senza conoscere prima il vero ciclismo. Appena sentono il nostro accento italiano si accendono, iniziano ad urlare: “Venite, fino a pochi minuti fa abbiamo brindato con Tafi”. Tonneke esclama: “Chi è Tafi?”. I fiamminghi diventano bianchi in volto più di quanto lo siano già, si disperano, sono increduli. Sarà quel momento a segnare la sua entrata nell’Olimpo del Nord, nella cerchia di coloro che ragionano da Nord. I tifosi di Moscon intanto si disperano non appena vengono a conoscenza di una caduta del loro beniamino e iniziano a dire: ” Le andà in tera el Gianni!” altri invece: “Oggi faceva il numero!”. L’attenzione sale, come salgono i decibel. Chiudiamo gli occhi per un istante per ascoltare questa sinfonia: le urla, accompagnate da una leggera brezza, fermata da questi alberi immensi. Poi il putiferio. Il fine corsa non è ancora passato, ma dobbiamo volare verso l’ultima nostra tappa, al Carrefour de l’Arbre. Tonneke prende le chiavi e si dirige all’auto correndo con un passo che sarebbe valso una medaglia d’oro alle Olimpiadi dei 1500 metri. Dopo alcune manovre al limite del ritiro patente entriamo in autostrada e rifiatiamo. Ma dopo alcuni minuti arriva subito una sorpresa per noi novizi della Roubaix: mentre percorriamo l’A23 verso Roubaix notiamo alcuni tifosi appostati su un tratto in pavé. In tempo zero ci spostiamo sulla corsia di emergenza, parcheggiamo l’auto e scendiamo di corsa per 30 metri, mentre i tir con gli spostamenti d’aria fanno ballare la nostra Opel, ormai esausta. Il classico momento dove scatta l’ignoranza, il classico momento che cambia la giornata. Mentre anche l’autostrada si ferma per assistere al passaggio della corsa ci appostiamo sulle pietre pronti per sostenere i nostri idoli. L’adrenalina prende il sopravvento e il buon Tonneke inizia a dare di matto: “Adesso prendo la bandiera Swatt Club e corro per i prati! A 50 all’ora! Non li guardo neanche passare!”. La Roubaix porta alla follia. D’altronde una corsa giunta alla 115esima edizione non può suscitare altre emozioni. Non appena si alza dal pavé la polvere l’urlo che viene dal cuore è unanime: “Siamo all’inferno!”. Arriva Daniel Oss, seguito dal prodigio Stuyven. Sembrano in estasi, è l’adrenalina a mandarli avanti, ad accompagnare la loro cavalcata verso il paradiso: il Velodromo di Roubaix. Passa la corsa e torniamo al volo in auto. L’autostrada è un delirio: le auto suonano il clacson, le ammiraglie dei Vip e dei cambi ruote fanno manovre da capogiro, mentre la gendarmerie si accoda a tutte le auto parcheggiate in corsia d’emergenza gridando “Siete stati segnalati, vi manderemo la multa a casa”. Ma non ci interessa, siamo arrivati all’atto finale, il momento che decide tutto: il Carrefour de L’arbre. Ormai ci sentiamo di casa e percorriamo ogni stradina sentendola nostra e ad ogni tratto di pavé in cui la macchina chiede pietà siamo ancora più felici, non ci basta, ne vogliamo ancora, vogliamo sentire le vibrazioni fino alla testa. Arriviamo al Carrefour attraversando un campo in macchina, testando le sospensioni della Opel, e ci prepariamo psicologicamente ad assistere alla fine della corsa e alla fine dell’era Tom. Scendiamo dall’auto ed ecco le prime griglie fiamminghe all’opera, alcune addirittura a livello del terreno, con i tubi di scarico delle macchine accese a contatto con la carne. È uno spettacolo, qualcosa di inspiegabile, non esistono parole. Certe esperienze bisogna viverle.Alla Taverna de L’arbre c’è un maxi schermo e a dirigere le operazioni troviamo una ragazza fiamminga. Al Nord le ragazze organizzano eventi in cui i fatturati raggiungono cifre strabilianti.
Il tasso alcolico nell’aria è imbarazzante. Alcuni giovani addirittura hanno ormai alzato bandiera bianca, come il colore della bici di Tommeke, e purtroppo per loro non riusciranno a vederlo per l’ultima volta, non potranno vedere il suo modo di stare in bici, il suo carisma ed il suo stile. Mentre i primi corridori stanno percorrendo il settore precedente di Champin-en-Pevel, un vecchietto fiammingo sbotta e cade a terra di schiena travolgendoci. Rischiamo i crociati rimanendo fermi. Gli elicotteri si avvicinano, le moto arrivano a velocità folli, la polvere si alza, le sirene aumentano di intensità: chiudete gli occhi ed immaginate tutto questo, stiamo vivendo momenti di pazzia. Arrivano Greg, Stybi e Langeveld e tutto questo stato si alimenta ancora; momenti trascendentali, fatti di empatia ai limiti del possibile. Ecco arrivare Tom, la gente non sa se applaudirlo, piangere o se incitarlo, non si capisce niente, è come se il cervello fosse andato in over e allora partono le urla ” Tommeke Tommeke Tommeke Tommeke!“. Passa qualche minuto ed ecco arrivare il vero sconfitto di giornata, Peter Sagan, respinto ancora dalla strada, tradito da una terra che lo vorrebbe protagonista, ma il ciclismo è così. Peto però onora la corsa e rilancia l’azione in uscita anche se non riesce a tenere le ruote di corridori che stando bene staccherebbe senza alzarsi sui pedali. È l’ora dei lavoratori, di coloro che hanno lasciato sangue e anni di vita tra Arenberg e Carrefour, i gregari di lusso. Arriva Trentin, la sicurezza, il Bancomat pieno di soldi come lo ha soprannominato Rick Van Mageren, ed è acclamato da tutti. Tra vent’anni sarà sugli album delle figurine in Belgio. Poi arriva Lampaert che non appena sente i nostri cori alza il braccio al cielo e ci saluta con un’esuberanza che per un attimo scaccia via la fatica. È unica la fratellanza degli uomini Quik Step, lo si nota in Davide Martinelli e Lampaert, dal loro attaccamento vero, genuino e generoso al lavoro, a Brambilla che in maglia rosa aiuta Jungels al Giro; e poi dal DS Brian Holm, il re dello stile, uno che gira in Vespa per Copenaghen, gente attaccata al ciclismo eroico, non alle corse in Mongolia. In nessun’altra squadra è presente questo spirito. Mancano ancora tanti corridori, ma è tempo di andare al maxi-schermo per assistere all’arrivo nel Velodromo. Tutti sanno che saranno Greg e Stybi a giocarsi la vittoria. I tifosi fiamminghi dunque possono stare tranquilli: sono entrambi loro corridori, anche se tutti avrebbero voluto un altro epilogo per il fine carriera di Tom Boonen.
E’ tempo di volata e anche noi mettiamo da parte fotocamere e Iphone. Gli ultimi 1000 metri bisogna gustarseli, viverli.
La gara è finita e i tifosi si avviano verso le loro auto. Accendiamo la Opel, ci mettiamo in coda e guidiamo a fuoco verso Charles de Gaulle per rientrare in Italia.
E’ stata una tirata. E’ stata una Roubaix fantastica, polverosa, dura, soleggiata. E per noi è stato un viaggio incredibile, pieno di watt ed emozioni.
Ci vediamo il prossimo anno Roubaix, grazie.
Le iscrizioni per lo “Swatt Club goes to Roubaix 2018” sono appena aperte, se volete vivere il ciclismo al 100% non dovete mancare. Ma prima ci vediamo sulle strade del Giro d’Italia e del Tour de France!
Scritto da Bauer e Berry.
Foto @carloberry
One Response
Ormai sono diventato Maggiorenne.. e da quel giorno non uso più i guantini.. tonneke