Kimi. Improvvisamente da brocco a fenomeno, da zavorra a uomo della provvidenza, da calimero a cigno.
Improvvisamente un po’ per tutti, ma non per noi. Noi, che non abbiamo mai dimenticato che l’ultimo campione del mondo con la Rossa non è Sebastian Vettel, e nemmeno Fernando Alonso.
La storia del carro dei vincitori (e che vincitori, poi…), insomma, non è roba che ci appartiene.
Con la coscienza pulita, allora, ecco cinque ragioni per cui, a nostro avviso, la Ferrari non ci ha (di nuovo) capito una mazza.
Uno. Affidarsi a un solo uomo che, peraltro, in passato ha già sbagliato quando il volante scottava, non è certo la soluzione più felice. In un campionato così lungo, poi.
Uno bis. Essendo il 7 così in forma, non possiamo e non vogliamo credere che quel mezzo decimo in qualifica che lo separa da Vettel lo releghi automaticamente al ruolo di zerbino.
Due. Se c’è uno disposto ad anteporre gli interessi della squadra ai propri, beh, quello è Kimi Raikkonen.
Bisogna sostenerlo in modo da poter vincere le corse quando l’altro va più piano, e viceversa.
Guai, dunque, a tirare troppo la corda, perchè l’abulia raikkoniana è nemica prima di tutto della Rossa e di Seb.
Due bis. Non c’è cattivo più cattivo di un buono che diventa cattivo.
Rosberg docet.
Tre. Seconda guida o meno che sia il Santo Bevitore, con l’orribile strategia di domenica si sarebbe comunque buttato via un podio praticamente certo.
Poi è successo quel che è successo, ma senza SC si finiva sesti e buonanotte ai suonatori.
Tre bis. Perchè, nonostante avesse un treno nuovo di gialle e si fosse attaccato alla radio come un invasato, nessuno ha pensato di chiamarlo dentro in regime di SC per provare a vincere!?
Quattro. Il muso di Arrivabene alla pole di Vettel nel sabato cinese l’avete visto tutti.
Questione di body language.
Ma allora, chi cappero comanda, a Maranello?
Kimi l’ha confermato Marchionne, eh.
Cinque. Nel 2018 i mondiali non si vincono più con punta e gregario. Si lotta con due macchine, se sono entrambe a livello. A costo che si rubino pure qualche punto.
I conti, al massimo, si faranno (quasi) alla fine.
Cinque bis. No, non abbiamo dimenticato il quinquennio d’oro Ferrari.
Ma Vettel non è Schumacher.
O, almeno, non è SEMPRE Schumacher.
La Ferrari non è quella Ferrari.
E Raikkonen non è Barrichello…
Non si gioca più così, insomma. I tempi del “catenaccio”, signori, sono morti e sepolti.
Tommy Govoni