Siamo cresciuti leggendo Bicisport, abbiamo sempre ceduto al fascino dei suoi articoli riguardanti le imprese del pirata, l’oro olimpico di Bettini, le vittorie di Basso, Nibali, le vicende attinenti ai casi doping e le Roubaix di Boonen. BS è la bibbia del ciclismo, nonostante il movimento abbia vissuto anni bui è sempre riuscito a trasmetterci ciò che la bici non ha mai perso: la passione. Per l’enorme stima che Solowattaggio nutre nei confronti della rivista fondata nel 1976 da Sergio Neri, abbiamo fatto una cosa insolita, intervistando per voi un pilastro di Bicisport, uno dei quali ogni mese vi intrattiene con i suoi retroscena stupefacenti, facendovi sentire nel Velodromè de Roubaix, sul Kwaremont al Fiandre, in mezzo alle foreste della Liegi oppure sulle strade del Giro. Stiamo parlando di Enzo Vicennati, caporedattore di BS, Vicennati è un amico dei corridori, l’amico del Pirata, uno che vive a pane e ciclismo. Basta visitare il suo profilo Twitter o scorgere la profondità dei suoi racconti per notare il rapporto di fiducia tra lui e i grandi campioni del ciclismo. Buona lettura.
Dottor Vicennati, quando è iniziata la sua avventura con Bicisport?
“Nel 1992 ero a Trento, studiavo ingegneria forestale all’università e stavo facendo il servizio militare. Non ero molto convinto di studiare, mandai il mio curriculum a Bicisport ed in un primo momento rifiutarono. Dopo un periodo mi presero con un contratto di sei mesi, poi me lo rinnovarono ed eccoci arrivati fino ad oggi. Inizialmente mi inviarono a seguire le corse dei dilettanti, è li che conobbi Pantani, poi passai al livello successivo, Giro, Tour, Vuelta e classiche”.
Lei è una di quelle figure che per l’esperienza costruita sul campo può descriverci meglio di ogni altro lo stato di salute del ciclismo italiano. Come valuta il nostro movimento?
“Il ciclismo italiano sforna grandi talenti, nonostante questo stiamo vivendo una grande crisi a livello federale. Il movimento ad alto livello è trainato da Veneto, Lombardia e Toscana. Il problema più acuto risiede nella mancanza di strutture federali, molti corridori devono abbandonare l’attività perché non riescono a trovare un contratto tra i professionisti. La mancanza di squadre Pro Tour alimenta ancor di più il problema. Abbiamo solamente la Lampre, che però possiede la licenza svizzera. In Italia, sfortunatamente ed allo stesso tempo fortunatamente un corridore per una squadra costa il doppio che all’estero”.
A proposito di squadre, come vede questo matrimonio Nibali-Bahrein?
“Vincenzo è saggio, se ha fatto questa scelta vuol dire che vede un progetto a lungo termine; è un grande rischio poiché dovrà costruire da solo una squadra partendo da zero. Per creare una vera squadra non sono sufficienti i soldi, basti ricordare la Leopard Trek, ne avevano ma andò male. Ci vogliono un paio d’anni per creare un grande organico. Per ora circolano solamente voci, l’unica cosa certa è il tesseramento di 5 corridori e 3 direttori sportivi”.
Chi è il più grande fenomeno che ha visto nella sua carriera da giornalista sportivo?
“Marco Pantani sopra tutti, poi ci metto Bartoli, Bettini e Nibali sullo stesso piano”.
Ed il peggior personaggio?
“Credo che il peggior personaggio non esista, quando fai tutta quella fatica in strada non puoi dire a nessuno di essere un cattivo personaggio. Con un certo margine di approssimazione posso però dire che il peggior personaggio sia colui che non da al ciclismo quanto riceve”.
Lance Armstrong dunque non lo definisce un personaggio cattivo?
“No, chi fatica così tanto non può essere definito peggiore di un’ altro. Può essere messo in discussione il modo in cui ha concepito il ciclismo, ma non lo definirei un cattivo personaggio”.
Chi è invece il corridore che l’ha deluso, da cui si aspettava molto di più?
“Dico Giuliano Figueras, da Junior aveva dimostrato grandi cose. Purtroppo ha vissuto gli anni bui del ciclismo e ne è stato vittima”.
Quel’è la sua corsa preferita?
“ Il Giro su tutte e poi dico la Liegi-Bastogne -Liegi. Il Giro purtroppo non possiede un’organizzazione ruffiana come quella del Tour e soprattutto non viene corso nei mesi estivi. Il livello tecnico del Giro è sopra quello della Gran Bouclé, ed i francesi lo hanno capito. Con Zomegnan abbiamo vissuto anni sbarazzini, ispirato dall’esigenza di cambiare gli schemi con le Dolomiti nella prima settimana, la scoperta del Colle delle Finestre e l’arrivo a Roma. Angelo ha portato un’evoluzione senza tuttavia cambiare i protagonisti; il Giro ci fa scoprire sempre salite dure in posti impensabili e Mauro Vegni in questo momento sta contenendo i trasferimenti, accontentando le esigenze dei corridori. Per quanto mi riguarda metterei ogni anno nel calendario le salite monumento anche se poi mi rendo conto che l’Alpe Duetz non viene affrontata ogni anno neanche al Tour. La Liegi mi piace perché amo le foreste del Belgio con le sue stradine, e poi mi piacciono gli scalatori”.
Qual’è dunque il motivo per cui Nibali non ha ancora vinto la Doyenne?
“Vincenzo non ha mai preparato con determinazione la Liegi. Ci è sempre arrivato con una condizione in ascesa in vista del Giro ma mai al cento per cento. Questo lo ha portato a scontrarsi con scalatori al Top della forma. L’anno che è arrivato secondo purtroppo nel finale non ha mangiato, dovendo accontentarsi del secondo posto”.
Ed ora Dottore vogliamo sapere i pensieri che le vengono subito in mente quando sente il nome di questi campioni:
Marco Pantani: “voglio raccontarvi un aneddoto, delle sue vittorie se ne è già parlato molto. Nell’inverno del 1995 andammo con Marco in Toscana a provare la salita del Ciocco, una rampa durissima con punte del 22%. Marco nonostante avesse iniziato da pochi giorni la preparazione fece una gara contro la nostra macchina, inutile dirvi che per batterlo dovemmo mettere la terza. Un’altra volta eravamo a Cortina durante le vacanze natalizie, dissi all’addetto della seggiovia che porta al Duca d’Aosta di rallentare l’impianto perché stava per arrivare un cliente in stampelle. Storse la bocca, pochi minuti dopo quando Marco arrivò, si commosse. Quando il pirata giunse in cima con la seggiovia c’era una platea di gente ad aspettarlo. Neanche ad un arrivo del Tour ho mai visto tanta gente. La forza di Marco era la sua mentalità, la voglia di dimostrare che in salita era il più forte”.
Gilberto Simoni: “grande tenacia, soffriva Pantani ma era poco sotto Marco come corridore”.
Paolo Savoldelli: “intelligente, astuto. Bravo a crono ed in discesa. Ha vinto due giri pur non essendo il più forte in salita, inoltre quando ha capito di non essere più in grado di vincere si è messo al servizio degli altri”.
Damiano Cunego: “passano gli anni e mi rendo conto di quanto sia stata molto probabilmente la persona più brava che abbia conosciuto nel ciclismo. Damiano ad un certo punto si è reso conto di quanto la salute fosse più importante delle corse. Non è mai stato un corridore da grandi giri, è uno da classiche. Ha vinto un Giro anomalo, con tappe molto corte, quasi da dilettanti e con una concorrenza abbastanza scarsa ”.
Ivan Basso: “cocciuto e meticoloso. È inciampato in una vicenda che nemmeno lui poteva immaginare. Dopo l’Operation Puerto è stato bravo a rialzarsi, ritornando credibile e ritagliandosi un ruolo importante nel mondo del ciclismo”.
Lance Armstrong: “quando ha vinto il primo Tour era un corridore qualunque, poi ha vissuto due fasi. La prima con un Armstrong cinico, spietato e senza scrupoli, capace di costruire un piano a tavolino per vincere sette Tour. La seconda quella del ritorno, il texano aperto ai media, l’uomo in grado di donare tantissimi soldi alle fondazioni contro il cancro, disponibile alle interviste e capace di arrivare terzo al Tour a 39 anni venendo perfino al Giro. Se non fosse ritornato quei Tour sarebbero ancora suoi. Il passaporto biologico lo ha inchiodato, inoltre il fattore che lo ha ucciso veramente è stata la radiazione dal mondo del ciclismo. Mi rimane solamente un dubbio: come ha potuto un uomo come lui, dopo anni di segreti, ritornare in gruppo credendo fosse ancora protetto. Che santi credeva potessero ancora proteggerlo? ”.
Danilo Di Luca: “molto forte, ha voluto vincere troppo, si poteva accontentare delle classiche in maniera pulita ma non lo ha fatto”.
Paolo Bettini: “nutro enorme stima nei confronti di Paolo. Ha imparato il mestiere da Bartoli, nelle gare corte non andava, veniva fuori alla distanza. L’aver fatto gavetta al fianco di Michele gli ha dato grandi vittorie negli anni ma lo hanno fatto poco personaggio negli ambienti extraciclistici”.
Alessandro Ballan: “uno dei corridori più sfortunati. È stato invischiato di un processo grottesco e nonostante sia stato assolto è stato vittima di certi sistemi talebani presenti nel ciclismo odierno. Le squadre mettono in piedi degli statuti in accordo con gli sponsor in cui i corridori con precedenti condanne non possono fare parte del gruppo. Alessandro è stata una vittima illustre”.
Michele Bartoli: “talento puro, non ha ceduto alla lusinga dei grandi giri, rimanendo concentrato sulle classiche. Soffriva la rivalità con Pantani, subiva il fatto di essere sulla bocca di tutti in ogni giornale. Quando Marco morì, Michele era tra i più tristi, quella rivalità li aveva uniti in maniera indissolubile”.
A proposito di lusinghe nei confronti dei grandi giri, non crede che Diego Ulissi nell’ultimo Giro abbia cercato nell’ultima settimana di scoprirsi uomo da grandi giri?
“Certamente, ma sta sbagliando. Diego non ha mai vinto una grande classica, prima un corridore deve trovarsi una dimensione definita, poi può provare a misurarsi nei grandi giri”.
Peter Sagan: “è giovane. È figlio d’altri tempi, non sta negli schemi ed è nato per andare in bicicletta. La sua versatilità è pazzesca, credo però stia sbagliando nello spingere troppo alcuni suoi valori. Sicuramente Peter ha dentro alcune battaglie come l’abbattimento della fame nel mondo o certi atteggiamenti d’attore. L’agenzia che lo segue sta però spingendo al limite la sua personalità al punto da snaturarla ”.
Tom Boonen: “classe pura. Troppo innamorato del nord, nell’ultima Roubaix è stato commovente. Se gli dai fiducia e ti conosce è sempre alla mano. Ha passato varie fasi del ciclismo e nonostante questo parla tre lingue. In Belgio poi è il personaggio più seguito, è il CR7 della bicicletta”.
Fabian Cancellara: “più riservato di Tom e meno personaggio. Intelligentissimo dal punto di vista tattico, quando si è stancato delle cronometro si è dato alle classiche, quando si è accorto di non poterli più staccare ha imparato a vincere in volata. Deve molto a Luca Guercilena e poi ha appena vinto l’oro a RIO. Se il percorso fosse stato più veloce non c’e l’avrebbe fatta”.
Luca Paolini: “non vedo l’ora ritorni in gruppo. Sebbene abbia commesso una cosa non da esempio per i giovani, il Gerva è un uomo con dei valori immensi. Una scaltrezza in corsa che hanno pochi, ha vinto la corsa più bella a 36 anni ed ha contribuito non poco ai successi di Kristof. Ai giovani può insegnare molto”.
Riccardo Riccò: “altro talento, coraggio e grinta. Un personaggio che avrebbe portato tantissima gente nel ciclismo. Non ha però capito che esistono dei limiti, che la corda non va tirata troppo. Mi dispiace, lavorare con Riccardo era bello, non diceva mai cose banali”.
Un ultima domanda sui nostri giovani, Moscon, Martinelli, Ciccone e Ganna. Come li vede in prospettiva futura?
“Uno spettacolo. Ci faranno divertire ed inoltre ci aggiungo Formolo, in generale dal 1992 al 1996 abbiamo grandi corridori. Questi ragazzi hanno capito come raggiungere il successo, sebbene siano ancora giovani non hanno distrazioni”
Per fortuna questi ragazzi non trascorrono le giornate in cerca di Pokemon. La ringraziamo Dottor Vicennati, Solowattaggio è nato nel 2013 ed allora sarebbe stato impensabile poter intervistare un personaggio del suo calibro dopo soli tre anni. Complimenti ancora per le rubriche presenti nella sua rivista, sempre molto profonde e piene Watt, a presto.
Nella foto: Enzo Vicennati e Marco Pantani
@bauerdatardaga
One Response
Alpe duetz?!?!?