Che volete che siano 10 anni di digiuno per chi ha la Rossa nel cuore.
Permettetemi, però: perderlo così fa ancora più male.
Battuti senza riuscire a combattere: un invito a nozze per i portabandiera del giustificazionismo:
《Perché se non avesse avuto sfiga là, e non avesse rotto qui, ora avrebbe 75 punti in più e bla bla bla》.
No. Niente caso, nessuna sfiga: un tracollo tecnico disarmante che lascia letteralmente senza parole.
Avvenuto, tra l’altro, proprio in coincidenza dell’esplosione prestazionale della macchina.
Un caso anche questo? Non credo.
Piuttosto, una conseguenza.
E poi c’è la reazione di Seb, unico vero raggio di sole in mezzo a tutto questo ambaradan.
Zero frignacce e looking forward.
È l’Uomo giusto: il suo cuore batte per la causa Ferrari.
Di Alonso n’è bastato (e avanzato) uno.
A scanso di equivoci, comunque, Lewis Hamilton questo mondiale l’ha meritato.
Sarebbe esercizio inutile invischiarsi nell’annoso dibattito circa le sue effettive capacità di driver.
Alle volte sono le scelte che un pilota compie nell’arco di una carriera a consacrarlo campione. Più del talento, più della velocità, più della testa.
Ebbene, da questo punto di vista il Caraibico non ha mai sbagliato.
Nel 2017 ha saputo uscire alla distanza, lottando con una Freccia d’Argento mai così scomoda prima d’ora. Bravo a limitare i danni quando necessario (vedi Monaco), bravo a piazzare la zampata quando richiesto.
Il fatto di avere un Rosberg di meno al fianco, poi, gli ha sicuramente semplificato la vita.
Perché Bottas, in fondo, quando avrebbe dovuto alzare l’asticella, ha spento la luce: dall’Ungheria – dove era concretamente in lotta per il titolo – in poi, due podi e poco altro.
Ma soprattutto, la dimostrazione di possedere una spiccata attitudine da zerbino in cui il Nero ha sguazzato con lucida furbizia, coccolandolo pure quando il valletto gli stava davanti.
Insomma, l’ha cucinato a fuoco lento. Tirando fuori proprio un gran piatto.
Tommy Govoni