Alto livello: più facile arrivarci o rimanerci?

Pagellone di Beaver

Nello sport è più difficile arrivare ad alto livello o confermarsi? Tutti noi sicuramente per un motivo o per l’altro ci siamo posti questo interrogativo, forse senza arrivare ad avere una posizione precisa. Dare una risposta a questa domanda però è importante perché ci permetterebbe di trovare un’indicazione rispetto alle difficoltà insite sia in una condizione che nell’altra. Proviamo quindi a fare un ragionamento.
Per arrivare ad alto livello servono, in ogni sport, qualità tecniche e preparazione fisica. Nei più giovani poi vi è il tema della predisposizione che fa da spartiacque tra chi potrà andare avanti e chi invece si fermerà un poco prima dell’alto livello. Ma anche chi è dotato di “talento” (anche se poi cos’è il talento?) deve sgrezzarsi e lavorare per far fruttare queste doti naturali. Questo è imprescindibile ed è determinato dall’impegno attivo e incondizionato del singolo atleta. Ci sono poi tutta una serie di fattori meno osservabili direttamente ma che hanno ugualmente un peso nel raggiungimento di un livello top. Pensiamo alla tranquillità, all’inanellarsi più o meno casuale di condizioni favorevoli e all’attraversare un momento in cui tutto va bene, sia sotto un profilo fisico che mentale. Non è solo fortuna però. In gioco c’è una dimensione spesso inconsapevole fatta di aspettative ridotte, in cui l’atleta non ha nulla da perdere. Sa che tutto ciò che arriva è guadagnato. Sa che c’è solo la possibilità di migliorare e di crescere. La testa è libera. Non c’è il fardello del traguardo da raggiungere ad ogni costo, non ci sono aspettative, reali o presunte, che impongono di fare bene. In questo scenario i margini di riuscita sono più ampi, ma perché è l’atleta stesso che non si mette il bastone tra le ruote ed è mosso dalla sana spinta a crescere che, se non si tramuta in smania (che però a quel punto si è già trasformata nella pericolosa aspettativa), rappresenta l’innesco per la realizzazione di buoni risultati.
Poi succede che uno arriva. L’impegno, il talento, la voglia, l’allineamento di condizioni favorevoli fanno sì che un atleta raggiunga l’eccellenza. Ed è qui che l’atleta impara a conoscere la vittoria o comunque l’esperienza di fare risultati di rilievo. Non neghiamolo, si tratta di una bella esperienza. Chi non la vorrebbe provare? E come ogni volta che raggiungiamo qualcosa che ci piace, subentra il tarlo del poterla perdere. Qui l’atleta può trovarsi di fronte a un muro e iniziare a pensare che tornare indietro è un attimo. Diventa necessario riconfermarsi, l’atleta stesso se lo aspetta e anche gli altri se lo aspettano. Maledette aspettative. Emergono i primi dubbi, la consapevolezza che rimanere a quel livello non è più sufficiente, che bisogna fare di più. E se non si riesce a fare di più? E se si rovina tutto quello che si è costruito per arrivare fin lì? E se deludo me stesso e gli altri? Ecco che può subentrare la logica del “e se”. Una logica auto-sabotante che porta a focalizzarsi su ciò che potrebbe essere e su ciò che si potrebbe perdere. La testa non è più aperta a esplorare e a trovare la via per raggiungere ciò che si desidera, ma è concentrata a non fare passi falsi e a cercare di controllare tutto. Ed è lì che non ci si prende più rischi, che subentrano paure che tolgono il fiato e che paradossalmente bloccano, o addirittura fanno retrocedere, proprio quando sarebbe più necessario avere la fiducia che se sei riuscito a farlo una volta puoi farlo ancora.
A livello puramente mentale, quindi, confermarsi e rimanere ad alto livello è molto più difficile che arrivarci. Saprà farlo chi si è allenato alla gestione delle aspettative, chi è più resiliente di fronte agli ostacoli, chi sa rileggere in termini di sfida la paura di non riconfermarsi e chi, col tempo, ha maturato la capacità di essere creatore della propria stessa serenità.

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