L’infortunio nello sportivo è un evento tanto devastante quanto inevitabile. Prima o poi ogni atleta incorre in uno stop forzato dettato da un infortunio la cui entità è varia, così come lo sono i tempi di recupero.
Per tirare sù di morale lo sfortunato atleta, spesso gli vengono rivolti incoraggiamenti che cercano di alleggerire la pesantezza dell’evento, di rassicurare su una pronta guarigione e sul pieno recupero della competenza agonistica. Tutte azioni valide ma spesso premature.
L’infortunio è un evento molto più complesso. Non basta una pacca sulla spalla o suggerire di utilizzare il tempo dell’infortunio come momento di crescita, di conoscenza di sé e dei propri limiti. O meglio, magari sì, ad un certo punto l’atleta sarà pronto a guardare con occhi diversi quello che gli è accaduto, ma almeno in prima battuta la rabbia gli deve essere concessa. E lo stesso atleta si deve concedere di provarla, non strozzando in gola tutte le sensazioni negative solo perché “non sta bene” sperimentarle o esprimerle o perché sta cercando di auto-ingannarsi e di convincersi che è tutto a posto. Quando capita un infortunio (siamo onesti!) non c’è niente che vada bene!
La frustrazione derivante dal veder sfumare i sacrifici fatti, il pensiero di dover ricominciare da capo e di rivedere i propri obiettivi sono aspetti con cui è necessario fare i conti. Venire a patti con questa frustrazione ed elaborare l’esperienza dell’infortunio non è cosa semplice ma passa attraverso un complesso processo di accettazione.
Alla fase iniziale di shock e negazione (“Non posso credere che stia succedendo”) subentra la rabbia che porta l’atleta a chiedersi perché l’infortunio sia capitato proprio a lui e a provare un senso di ingiustizia per quanto accaduto. E non chiedete a un atleta infortunato di non arrabbiarsi! La rabbia è legittima e deve poter trovare un suo spazio di espressione. A questa fase di elevata attivazione subentra il momento della contrattazione, in cui l’atleta ricorre ai “se” e ai “ma” (“Se non avessi fatto quella certa cosa non mi troverei ora infortunato”). Ma, lo sappiamo, con i se e con i ma non si fa la storia. Prendere atto dell’immodificabilità dell’evento conduce l’atleta verso uno stato depressivo in cui la sensazione dominante è che qualsiasi sforzo sia inutile, che la riabilitazione sia impossibile e che non si tornerà mai più come prima.
L’atleta motivato e ben supportato da una rete di allenatori e professionisti sarà infine in grado di accedere alla fase decisiva per l’elaborazione dell’infortunio: quella dell’accettazione. Ridefinire gli obiettivi, essere parte attiva del processo riabilitativo e non allontanarsi mai dall’ambiente del proprio sport ma viverlo secondo altre declinazioni, rappresentano gli ingredienti necessari affinché l’atleta prenda consapevolezza del fatto che l’infortunio, per quanto spiacevole, è qualcosa che può affrontare. A quel punto scatterà qualcosa in lui, e sarà pronto a guardare all’infortunio come a una nuova sfida da affrontare, con fatica, sacrificio e infinita pazienza.
@valentinapenati SIPISS