Oggi si parla tanto di competizione e spesso si ha la sensazione che la parola venga utilizzata con un’accezione negativa.
Un ambiente competitivo (ad esempio un gruppo di lavoro, una classe universitaria o una squadra), infatti, non è sempre ben visto. Spesso una persona che vuole entrare a far parte di quel contesto viene scoraggiata, sentendosi dire frasi del tipo “lascia perdere, è un ambiente troppo competitivo”. Questo succede specialmente quando si tratta di inserire un bambino in un gruppo sportivo, indicando implicitamente che è meglio che il suddetto bambino venga indirizzato verso ambienti più “tranquilli”.
Ci sono poi le persone indicate come competitive. E anche qui, non sempre l’essere competitivi è ben visto. Come se essere competitivi fosse qualcosa che non sta bene fare, come se chi è competitivo fosse una persona cattiva. Decisamente meglio essere cooperativi.
Ecco il punto. La competizione viene per lo più intesa come alternativa e mutualmente escludentesi con la cooperazione. Si tratta di un grosso bias, che incide sulle percezioni, le decisioni e addirittura il modo di essere delle persone.
Ma alla fine essere competitivi è un bene o un male?
Non c’è nulla di male nell’essere una persona competitiva o nel far parte di un ambiente competitivo. Anzi, l’essere competitivi e vivere relazioni competitive, è quella cosa che ci permette di crescere, di essere migliori, di alzare l’asticella dei nostri obiettivi.
La psicologia evolutiva ci insegna che l’essere umano ha sviluppato il cosiddetto sistema motivazionale interpersonale dell’agonismo. Questo sistema motivazionale non esclude totalmente gli altri sistemi interpersonali (attaccamento, accudimento, cooperazione, sessuale), semplicemente si attivano in momenti diversi. E sono tutti ugualmente importanti per la nostra sopravvivenza. Un motivo ci sarà.
Il pericolo di preferire un sistema cooperativo a svantaggio di quello agonistico è reale. Perché così facendo neghiamo la natura umana, ci neghiamo la possibilità di migliorarci, di andare oltre uno status quo. Competizione e collaborazione, oltre a poter tranquillamente convivere e subentrare in momenti e situazioni diverse, hanno entrambe una valenza adattiva fondamentale. Quando parliamo di miglioramento e sviluppo è necessaria certamente la cooperazione, ma ancor di più la competizione, perché ci permette di darci dei punti di riferimento, di avere persone a cui ispirarci e cercare di superare, e di fissare degli standard per i nostri obiettivi.
Possiamo certamente discutere sul modo attraverso cui la competizione viene agita e sulle abnormità della competizione, che sono altra cosa da quella che spesso viene additata come “eccesso di competizione”. Difficile infatti dire quale livello di competizione sia normale, basso o eccessivo. Più realistico invece identificare delle abnormità. E di certo ci sono modalità e strumenti che assumono una connotazione negativa parlando di competizione: la scorrettezza, il sottrarre qualcosa a qualcuno, il doping etc. Tutti comportamenti che è certamente necessario debellare.
Ma una competizione produttiva, funzionale ed efficace, che non demolisce né sminuisce l’altro, ma che punta unicamente sul mandare avanti se stessi, è qualcosa che dovremmo iniziare a insegnare negli ambienti sportivi, nelle scuole, nelle aziende – affiancandola, perchè no, ai già popolari corsi di teamwork. Immaginare un corso di formazione sulla competizione può sembrare impopolare, ma è una strada necessaria se vogliamo intraprendere la via del miglioramento.