“Forse avrei dovuto smettere qualche anno prima. Però ne è valsa la pena”. Ogni sciatore Millennial che si rispetti ha esclamato una frase del genere dopo aver abbandonato l’attività agonistica. C’è chi è andato avanti fino a 22 o 23 anni, c’è chi è andato oltre i 26-27 quando le possibilità di trovare posto in Coppa Europa o in Coppa del Mondo sono sicuramente meno rispetto a quelle di trovare un posto di lavoro. C’è chi ha abbassato la testa e si è detto “vado avanti” senza agire razionalmente o secondo i pregiudizi che aleggiano nello sci alpino. Alessandro Brean e Michelangelo Tentori sono gli ultimi ad aver abbandonato lo sci a livello agonistico e, anche se sono rimasti ancora uno o due sciatori della stessa generazione, con loro si è chiusa un’era: quella degli sciatori millennials, quelli che avevano sogni, aspettative e passioni più grandi di ciò che il mondo sci può effettivamente offrire. No, non ci sarà più una generazione emotiva e passionale come questa.
Degli Z sportivi (Dal 1995 circa in poi) abbiamo già parlato mesi fa e la previsione è che l’affezione / attaccamento allo sport agonistico sia inferiore ai loro predecessori, o comunque questi fattori incideranno veramente poco in competizione con la concretezza e la praticità delle loro idee. E poi provate ad aprire Instagram in queste settimane, non si sono mai visti così tanti abbandoni prematuri dopo soli due o tre anni di categoria Giovani. E non solo in Italia.
Siamo già fuori tempo se iniziamo a parlare adesso del problema sciatori over 23, perché fra 5,10 o 15 anni questa motivazione non avrà più motivo d’esistere per una semplice ragione: il cambio generazionale. Non inteso come semplice variazione degli interpreti, ma come vera e propria rivoluzione di pensiero e idea sportiva. Il cammino dello sci alpino ha la forma di un imbuto, come la maggior parte degli sport individuali d’altronde: parti da una base ampia, poi avanzi e i posti disponibili diventano sempre meno fino ad arrivare ad una finestra piccolissima che ti porta in Coppa del Mondo. Le dimensioni di questo imbuto devono dunque cambiare se la base di partenza diventa sempre più piccola.
I Millennials sono i maestri della simulazione, del voler imitare quello che hanno visto fin dall’infanzia in televisione e si lasciano trasportare dall’emozione. Il “diventare uno sciatore di Coppa del Mondo” non è mai stato interpretato come una vera professione, è lo stile di vita da seguire. Il Millennial ama la folla, il pubblico, far parte di qualcosa, vuole emozionare ed emozionarsi, vuole fare quello che hanno fatto gli atleti degli anni ’90. Non vuole tutto subito, aspetta solo di essere scoperto. E vuole che la sua storia regali alle persone un pizzico di malinconia. Pensa al suo futuro post-sport, ma la mente è offuscata dalla realizzazione del sogno, anche quando le probabilità di successo sono minime.
La Generazione Z è pragmatica, diretta, meno affascinata dal valore dell’esperienza ma più dal realismo, lavora per il successo. 25 anni è l’età giusta per fare altro e magari guadagnare qualche soldo. Sono incentrati sul futuro, non vivono Ogni Maledetta Domenica. Queste non sono supposizioni, perché come già detto in passato si stanno già vedendo i primi risultati in termini numerici sia nel mondo FIS che Sci Club.
Come già detto non esiste un sistema sportivo sbagliato, esiste solo una lettura sbagliata di chi abbiamo di fronte in un determinato momento.
Intanto salutiamo gli ultimi Millennials, tutti quelli che ci hanno regalato gare, episodi e aneddoti che hanno portato alla nascita di Solowattaggio.
Il breve testo di Exogenesis: Symphony Pt.3 dei Muse è il riassunto dei vostri ricordi sportivi e della vostra carriera. Vorremmo ripartire da capo, rifare tutto, farlo meglio. La malinconia e la potenza della nostra interpretazione della parola Sport ci accompagnerà per sempre.
Siete, anzi, siamo stati la generazione più perdente e meno realizzata della storia dello sci alpino italiano, ma siamo andati oltre.